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A una poesia non ancora nata

Autore: Arundhathi Subramaniam
Curatore: Andrea Sirotti
Traduttore: Andrea Sirotti
Testo a fronte: Inglese
Collana: Interno Books
ISBN: 9788885583054
Anno: 2018
Pagine: 120
Formato: 11×17 cm

14,00

Product ID: 451 Categoria: Tag:
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Per la prima volta in Italia la raccolta antologica delle poesie di Arundhathi Subramaniam, una delle principali voci della poesia indiana contemporanea. Il volume antologico in lingua inglese, tradotto e curato da Andrea Sirotti, riunisce il meglio dei testi pubblicati da Subramaniam in India e nel Regno Unito, restituendo la cifra stilistica, dichiaratamente lirica, della poetica dell’autrice e il senso del fare poesia, ovvero di compiere un “viaggio verso la crescita interiore”. Come segnala Sirotti nella prefazione, i temi delle liriche spaziano “dalla relazione col divino, ai rapporti amorosi, alla vita urbana, alla questione dell’identità, alla difficoltà di essere donna in una società come quella indiana”. Dunque, un itinerario che attraverso la poesia affronta le contraddizioni del mondo contemporaneo, ma segnala anche una via per fare della libertà un cammino possibile, necessario.

 

 

A una poesia non ancora nata

Davanti a un tè ci domandiamo perché scriviamo poesie.
Le leggono dieci persone, in ogni caso.
A tre non piacciono
per partito preso.
Tre provano un vago struggimento
ma devono pensare ai rubinetti che perdono
e al traffico cittadino.
A due piacciono
e non avrebbero problemi a dirtelo,
ma non sanno come.
Un’altra è tutta presa a preparare domande
sulle facili ironie
e sulla politica dell’identità.
La decima si chiede
se porti le lenti a contatto.

E noi
corrotti come chiunque altro
da un mondo assuefatto
ai carboidrati
e alle parole,

brancoliamo ancora
fra tramonti, metrica e
schegge di speranza

per un istante
immuni
dal terribile contagio
dell’abitudine.

 

For a Poem, Still Unborn

Over tea we wonder why we write poetry.
Ten people read it, anyway.
Three are committed in advance
to disliking it.
Three feel a vague pang
but have leaking taps and traffic jams
to think about.
Two like it
and wouldn’t mind telling you so,
but don’t know how.
Another is busy preparing questions
about pat ironies
and identity politics.
The tenth is wondering
whether you wear contact lenses.

And we,
as soiled as anyone else
in a world addicted
to carbohydrates
and words,

still groping
among sunsets and line lengths and
slivers of hope

for a moment
unstained
by the wild contagion
of habit.

 

*


Mezzadria

Porto il sari di mia madre,
il suo gruppo sanguigno,
il suo ginocchio artritico.

Abbiamo votato
per uomini diversi, stessi governi.

Nei sogni lei gioca
tra alberi di gomma e palme di betel
fuori da una casa in Myanmar
mentre io corro giù
da buie scale di servizio
tra gli edifici di Bombay, aspri
dell’odore di urina
e di kesar agarbatti
che fuma dal taschino
del matto del settimo piano.

Lei si struggeva per Dev Anand,
io per Imran Khan.
Alla televisione
sfoggiano entrambi ancora
una zazzera di capelli neri.

Lei si destreggia agile
fra le lingue.
Io vocalizzo di tanto in tanto
inerzie ammuffite.

Io mi sciolgo
per il pop
o per un complimento.
Mia madre è fatta
di una stoffa più rigida.

Coltivando lo stesso sogno
con personalità diverse –
la logica ostinata
che entrambe conosciamo
dietro eoni
di genitorialità.

Parliamo di buddismo,
di Lata Mangeshkar, complottiamo pedicure,
fino a tarda notte,

e lei mi guarda
vecchia contadina
scaltra mietitrice,
gli occhi lucidi
di sconfitta
mentre io furtivamente divento
il suo corpo.

Eccolo allora
il tradimento
della mezza età,
dell’amore.

Non ci si può avvicinare di più, mamma.

 

Sharecropping

I’m wearing my mother’s sari,
her blood group,
her osteo-arthritic knee.

We’ve voted
for different men, same governments.

In dreams she plays
among trees of rubber and betel palm
outside a home in Myanmar
while I scamper down
dark service stairways
in Bombay buildings, sharp
with the smell of urine
and kesar agarbatti
smoking out of the breast pocket
of the seventh floor madman.

She lusted after Dev Anand,
I after Imran Khan.
On television
both still sport
headfuls of black hair.

She treads nimbly
across language.
I vowel every now and then
into mouldering inertias.

I come undone
with muzak
or a compliment.
My mother’s made
of sterner stuff.

Sowing the same dream
in a different self –
the cussed logic
we both know
behind aeons
of parenting.

We talk Buddhism,
Lata Mangeshkar, plot pedicures,
late into the night,

and she watches me
ancient peasant
canny harvester,
her eyes bright
with defeat
as I grow stealthily
into her body.

Here it is then –
the treachery
of middle age,
of love.

It gets no closer than this, Mum.

 

*


Lingua d’amante

Forse mi stancherà
la tua grammatica,

esser lì a bramare
il rombo del verbo o la soffice
carne della pura vocale
nei mattini in cui inciampo
nel tuo paesaggio
di nomi implacabili.

E può darsi ch’io rimpicciolisca
quello stesso torace
in cui una volta cercavo rifugio,

che rosicchi l’inflessibile nervo
delle norme ancestrali,
che tenga il broncio,
torni immatura
ti dica ’fanculo,
arrangiati,
tanto per rompere
le simmetrie della tua famiglia
il tuo nobile DNA.

Forse un giorno
vorrò solo
di più
del tuo lascito di punti e virgole –
qualcosa di più definitivo,
di più silenzioso.

Ma anche se giro pagina
per prima,
sappi che sono
stropicciata,
sporca,
confusa,
come te,
e allo stesso modo innamorata.

Lover Tongue

Perhaps I will tire
of your grammar,

find myself yearning
for the rumble of verb or the soft
flesh of pure vowel
on those mornings when I stumble
over your landscape
of unforgiving nouns.

And it’s possible I will whittle away
the very ribcage
in which I once sought sanctuary,

gnaw at the unbending sinew
of ancestral norm,
sulk,
turn sophomoric
say fuck you,
say cope up,
just to disrupt
your family symmetries
your patrician DNA.

Maybe I will simply
want something more
one day
than your bequest of semicolons –
something more final,
more silent.

But even if I turn the page
before you do,
know I am as
dog-eared,
soiled,
puzzled,
as you are,
and as much in love.

Nota biografica

Arundhathi Subramaniam è nata nel 1967 a Mumbai da famiglia originaria del Tamil Nadu. Ex danzatrice di Bharatha Natyam, è giornalista freelance e critica di danza, arte e spettacolo per conto di diverse testate. Come poeta ha pubblicato su numerose riviste e sulle pagine di poesia di “The Independent”. Cura la sezione indiana del portale di poesia internazionale “Poetry International Web” ed è traduttrice di testi teatrali dall’hindi. "On Cleaning Bookshelves" è la sua prima raccolta pubblicata nel 2001 presso Allied Publishers di Mumbai, seguita da "Where I Live" (Allied Publishers, 2005). Alcune sue liriche sono raccolte nell’antologia "Reasons for Belonging" (Penguin India, 2002), curata da Ranjit Hoskoté. Insieme a Jerry Pinto ha curato l’antologia tematica "Confronting Love" (Penguin India, 2005). Le sue raccolte sono state pubblicate in Inghilterra nel 2009 in un’antologia per la casa editrice Bloodaxe (Where I Live, New and Selected Poems). Ha curato per Penguin India un’antologia di scritti sul pellegrinaggio in India: "Pilgrim's India", e ha anche scritto una biografia di Sadhguru Jaggi Vasudev. Un’altra raccolta, "When God is a Traveller" è uscita alla fine del 2014 per Bloodaxe. Suoi testi sono contenuti nell’antologia di poesia femminile indiana "L’india dell’anima" (Le Lettere, 2000), a cura di Andrea Sirotti. Nel corso del 2015 ha ottenuto il premio Bigongiari-Il Ceppo, e il Khushwant Singh Memorial Prize for Poetry per "When God is a Traveller". Per lo stesso volume è stata nel 2015 finalista per il prestigioso TS Eliot Poetry Prize.

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