Esaurito

American Dreams

Autore: Massimo Morasso
Collana: Interno Libri
ISBN: 978-88-85583-29-0
Data di pubblicazione: 3 giugno 2019
Pagine: 88
Formato: 11×17 cm

10,00

Esaurito

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American Dreams di Massimo Morasso è un libro divertente e appassionato, una lettura ironica e tagliente sullo stato dell’umanità. L’America vista con gli occhi di Marilyn Monroe, Kurt Cobain, Barack Obama, King Kong e altri personaggi esemplari (reali o di fantasia), fanno di questo volume una raccolta in cui il sogno e le tragedie americane sono trattate con la necessaria (e rara, in poesia) dose di ironia, comicità e capacità di riflettere attraverso la satira; come confessa lo stesso autore nella sua nota finale: «nella surrealtà visionaria di questi monologhi in prima persona, ibrido umano- animale od oggetto, per me c’era in gioco qualcosa di più profondo di una mera critica alla “americanizzazione” del mondo. C’era e c’è, piuttosto, o perlomeno vorrei che ci fosse, e che fosse palpabile, il senso preciso di un oltremondo intorno e dentro al mondo. Poiché io ero e sono convinto che il reale sulla terra non sia che dentro al cuore del mondo».

 

 

Facciamo che io ero Francis S. Coppola

Facciamo che io ero Francis S. Coppola.
E facciamo che ho visto il mio ragazzo Eddie
entrare l’11 settembre del 2001 nella Torre Due
e scomparire per sempre insieme ai suoi colleghi.
E facciamo anche che Eddie mi aveva telefonato
due minuti prima, tranquillizzandomi.
Tutto a posto, mi disse. Io non gli avevo creduto,
e benché sentire la sua voce forte e chiara
mi avesse fatto bene, non appena il mio Eddie
interruppe la comunicazione salutandomi
con un concitato «ok stiamo per entrare,
ci sentiamo dopo», non avevo resistito
alla tentazione di precipitarmi in strada
nonostante il fumo, le sirene, il caos.
La squadra di Eddie si era fatta largo con difficoltà
in mezzo a interi plotoni di impiegati in fuga.
Io avevo tentato di seguirne gli spostamenti,
resi più difficili da tutta quell’ondata
inarrestabile di persone sconvolte
– molti, soprattutto le donne,
pensai in un lampo scoppiato chissà dove
nel fondo buio della mia notte,
assomigliavano ai fantasmi
nei cartoon di Scoobie Doo –
che incominciavano a defluire in senso contrario.
Ma dopo pochi secondi
mi accorsi, con orrore, di averne perso le tracce.
Voltai la testa di qua e di là. Niente.
Mi avventurai perfino
in quella strana specie di pseudo-Armageddon
facendo qualche passo in direzione contraria
al turbine umano. Urlai. Chiamai il suo nome
una, due, tre volte.
Fu tutto inutile. A rispondermi
fu solo un breve, interminabile silenzio d’ovatta
immerso in un cupo frastuono disumano.
Di Eddie, in quel trambusto, nessun segno,
come fosse entrato d’un tratto in un imbuto
fatto di nulla, in un intermondo invisibile
al quale io non avrei potuto accedere.
Non saprò mai se anche il mio Eddie mi ha cercato
con lo sguardo, anche solo per un attimo,
o ha avuto il tempo di pensarmi
un’ultima volta prima di morire.
E a un certo punto mi sentii smarrito, fuori di me,
nella fitta di un’assenza che intravidi eterna.
Chissà perché mi venne in mente la parola “libertà”.
C’è così tanta malattia della ragione in giro, caro Dio,
devo aver sussurrato a mezza voce o pensato…
Presi anch’io a correre. Correvo,
sempre più veloce, col cuore che bussava.
Correvo come non avevo mai corso,
e i piani alti delle torri dirimpetto,
annerite e sbavate dall’incendio,
balenavano come torce infernali
nel riflesso di finestre altissime.
Correvo. Correvo, e il crepitio e gli urli scemavano,
affondavano in un oscuro,
intollerabile punto vuoto del mondo
fra me e il collasso universale di Ground Zero.

 

*

 

Facciamo che io ero King Kong

Facciamo che io ero King Kong.
E facciamo che dopo aver visto Mississippi Burning
con l’amico Kunta Kinte si è deciso
di rompere gli indugi
e di costituire un’associazione,
il Ku-Kong-Klan.
E facciamo anche che il fatto sovversivo
che due schiavi negri come noi
abbiano deciso di costituire il Ku-Kong-Klan
– Collettivo per i Diritti Umani e Non Umani degli Stuprati d’Africa –
non potrà non suscitare conseguenze sovversive.
Dalla notte dei tempi vige in tutto il pianeta
un’oligarchia basata sullo strapotere economico
e sulla mortificazione della nostra libertà:
un sistema di casta, benché col tempo,
in Occidente, abilmente contraffatto
in senso democratico. In Occidente,
dove il profitto del padrone
equivale alla vessazione del servo,
e la sua ansia di nuove conquiste
corrisponde al genocidio dei popoli nativi.
Una gerarchia che sembra inscritta sulle tavole della legge,
un modus operandi, un’abitudine e un progetto
culturale (non oso dire teologico)
scolpito a chiare lettere nell’Eternità.
È una specie di catena dell’Essere, invisibile
eppure efficientissima, che stringe insieme
il benessere degli uni (cioè, degli altri)
e il malessere degli altri (cioè, di noi).
Al di là dell’apparenza, che è sempre livellante,
soltanto all’interno di tale sistema
chi detiene il potere può entrare in relazione
con noi milioni, anzi miliardi, di impotenti.
Da qui viene l’idea, fastosamente hollywoodiana,
dei kolossal sui nostri massacri. Da qui
tutta la disgustosa manfrina retorica dei mea culpa.
Da qui il buonismo padronale
di così tanta controcultura,
di destra o di sinistra non importa.
Va bene che oggi non ci schiavizzano quasi più
platealmente, ma i nuovi schiavisti mascherati
tendono per quanto possono
ad aumentare il gap socio-economico,
e questo fortifica la loro condizione.
Ma la nostra Associazione non ha fra i suoi scopi
quello di svegliare le coscienze intorpidite?
Già i fratelli di New Orleans hanno sollevato la testa.
Già un vecchio gorilla, giù in Zimbabwe,
ha dilaniato un bianco faccendiere in tourist-trip.
Già i ragazzi delle banlieues parigine,
negli stradoni di periferia del cuore che pensa
in Europa, hanno portato in piazza un vento strano,
foriero di anarchia e negritudine.
Cosa succederà, Kunta
e io continuiamo a interrogarci,
quando alla nostra Associazione riuscirà
di prendere il potere –
e ad ardere, alla fine, in quel giorno decisivo,
non sarà più soltanto il Mississippi,
ma anche il Fondo Monetario,
le multinazionali e il WTO,
il volto vero, insomma, dei nostri
pallidi, incravattati, sussiegosi padroni?

 

*

 

Facciamo che io ero Marilyn Monroe

Facciamo che io ero Marilyn Monroe.
E facciamo che un talento prossimo al genio
come Truman Capote scrisse di me
che ero un’esplosione di sesso al platino
che aveva raggiunto fama universale.
E facciamo anche che quando chiesi a Capote
cosa avrebbe risposto
se qualcuno gli avesse domandato
come era veramente Marilyn Monroe
lui mi disse che avrebbe risposto
che ero una bellissima bambina.

 

Nota biografica

Massimo Morasso è nato a Genova nel 1964. È poeta, saggista, narratore e critico letterario. Nel 1998 ha curato la riedizione del “Supplemento Letterario del Mare”, il foglio italiano di Ezra Pound. Nel 2001 ha scritto la “Carta per la Terra e per l’Uomo”, un documento di etica ambientale declinato in tesi che è stato sottoscritto anche da 6 premi Nobel per la Letteratura. Ha collaborato a molte riviste, letterarie e non solo, e ne dirige una. Fra le altre cose, ha pubblicato il ciclo poetico de Il portavoce (1995-2006), in più raccolte per L’Obliquo e Jaca Book, due libri apocrifi nel segno unico dell’attrice Vivien Leigh, una monografia su Cristina Campo e una su William Congdon. I suoi ultimi libri editi sono "Il mondo senza Benjamin" (Moretti & Vitali, 2014), "L’opera in rosso" (Passigli, 2016 – Premi Prata e Gozzano 2017), "Fantasmata" (Lamantica, 2017), "Rilke feat Michelangelo" (CartaCanta, 2017 – Premio Catullo 2018) e "Kafkegaard" (Lamantica, 2018).

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