Leggere l’intera produzione poetica di Sergio Corazzini, curata da Alessandro Melia, significa entrare in contatto con una delle grandi voci liriche del Novecento. Considerato uno dei massimi rappresentanti del crepuscolarismo, in Corazzini c’è anche un’inarrestabile necessità di esprimere la propria vicenda autobiografica. I suoi versi sono l’espressione di una creatura fragile e sensibile che si sente morire giorno dopo giorno, come dimostrano anche le prime poesie. «Il tono è dimesso e malinconico perché la malattia incombe e alla morte non si può sfuggire; non può sfuggire la carne, non può sfuggire l’anima e non possono sfuggire le piccole, tristi e rassegnate cose». Le poesie di Corazzini sono variazioni di morte capaci di illuminare la vita.
I
Perché tu mi dici: poeta?
Io non sono un poeta.
Io non sono che un piccolo fanciullo che piange.
Vedi: non ho che le lagrime da offrire al Silenzio.
Perché tu mi dici: poeta?
II
Le mie tristezze sono povere tristezze comuni.
Le mie gioie furono semplici,
semplici così, che se io dovessi confessarle a te arrossirei.
Oggi io penso a morire.
III
Io voglio morire, solamente, perché sono stanco;
solamente perché i grandi angioli
su le vetrate delle cattedrali
mi fanno tremare d’amore e di angoscia;
solamente perché, io sono, oramai,
rassegnato come uno specchio,
come un povero specchio melanconico.
Vedi che io non sono un poeta:
sono un fanciullo triste che ha voglia di morire.
*
A Gino Calza
Vita tua è vita mia.
Tu lo sai: melanconia
mi tien fermo in sua balia;
non ti posso consolare.
Tu m’hai detto: – Ov’io mi reco
voglio che tu venga meco.
– Oh, fratello, io sono cieco,
non ti posso seguitare.
– Vieni; è tanto lo sconforto
che nel cuor misero porto!
– Oh, fratello, io sono morto
per il troppo dolorare!
– Nel mio nido ho un usignolo,
del suo canto mi consolo
quando sono tutto solo
e ho desio di lacrimare.
– Oh, fratello, tu sei buono!
Il mio cuore, ecco, ti dono:
è più dolce di un perdono,
è più bianco di un altare –.
Foglie morte, foglie morte
su la soglia delle porte
dove il cuore batte forte
e non fa che domandare.
Or la luna se ne è andata
con la sua corte beata
tutta bianca e desolata
a dormirsene nel mare.
È così leggero il mio
cuore, par fatto d’oblio!
Non ti pesi nell’avvio,
non ti voglia faticare.
Le tue mani sono monde
e le sue ferite fonde:
le tue mani sieno sponde
al tuo lento sanguinare.
Oh, il mio cuore è un usignolo,
che non canta quando è solo;
disiava un dolce brolo:
or nel tuo si sta a cantare.