Dalla prefazione di Tommaso Di Dio: «La poesia di Francesco Ottonello sta tutta qui: un tentativo di raggiungere il punto in cui la propria singolarità si faccia altro, possa essere materia di vita altrui. Eppure, per quanto ci si possa provare, niente e nessuno potrà mai accogliere integralmente ciò che una volta si è stati».
Piango il mondo prima di me
il mondo ingiusto, che tu sfinirai.
Attenderemo soli uno spiraglio
sfasciando la vita che ci trascina
continenti, scagliati – ciò che deriva
serberò in te quel che non resta.
*
Dio ti ha voluto per non essere voluto
quello che sei e non potrai mai essere,
se amerai un uomo sentirai la pietra
scagliarsi sul viso per volere di Dio,
frantuma le tue ossa, se ami muori
–
rivedo e scrivo a Milano dove vivo,
può uccidermi anche il pensiero di un uomo
solo nel buio di una luce sconosciuta
un tempo, che ora chiamo
–
rispondi e rieducami a un amore
la mano presa un atto di coraggio,
quel brusio inciso che non va più via.
*
L’amore è un passaggio, qualcosa che
non sarà mai, tuo o mio, né nostro.
Così amiamo, i nuclei lasciati
per essere felici essere vivi
–
mi hai chiesto il senso e si sfrana
infinito fuori, oltre i muri del mondo
–
ma sai, nella strenua ricerca si è
perfettibili insieme o soli per sempre
animali nella radura di un sogno
che dirada. Pochi resti e altri slanci.