Dalla prefazione di Patrick McGuinness: “Philip Morre è scrittore mutevole – forse è per questo che gli servono due nomi: come poeta è Philip Morre, come traduttore è John Francis Phillimore. Ce ne possono essere ancora altri… Anche le qualità della sua poesia che ammiriamo sono poliedriche: da un lato un’arguzia scarna, scevra da sentimentalismi, dall’altro una distinta nota di melancolia. Come il loro autore, queste poesie sono cosmopolite e allo stesso tempo tipicamente, profondamente inglesi. Molte sono anche agrodolci: ne ammiriamo la parola perfetta, l’espressione precisa, il verso incisivo, ma anche le sensazioni più vagamente evocate: sogni di un tempo perduto, di occasioni perdute, o di amore perduto, di cui queste poesie sono testimonianza”.
Snapshot of Hippo with Bananas
for Dennis Linder
He said often he always loved teaching,
loved, in fact, young things (nothing untoward
you understand), their bare tanned arms,
the social gradations of their pens and sneakers . . .
And he thought, rightly, that they loved him back.
“When I was at the asclepeion,” he would say,
“in Kos, a student like yourselves…” and before long
the whole class, seeing it coming, would chant as one:
“in Kos, a student like ourselves”, and he was chuffed
at the warmth behind the mockery. Which of us
is not, in old age, a parody of himself?
And who does not believe the hippo a benign
creature? His best draughtswoman, a decade ago,
made a picture of the ‘potamus astride a tor
of banana crates (such as you might find
discarded behind the market at noon),
which was pinned ever after over the door.
“Do pachyderms eat plantains?” He was always
trying to push back the limits of knowledge.
His one fear was, paradoxically, that
he had done too well, not for himself – fame
in fickle times is a passport of sorts –
but for them. They hung on his words so,
refused to query, to challenge. He imagined
his star pupil, a lifetime on, giving the same
identical lecture: “When I was at the asclepeion,
in Larissa, with Hippocrates, a student like
yourselves…”, and all the big questions
still unanswered: Where does the soul reside?
Do hippos eat bananas? Is the blood a tide?
*
Istantanea di ippopotamo con banane
per Dennis Linder
Lo diceva spesso lui che amava insegnare,
amava, infatti, i giovanotti (niente di sconveniente
intendiamoci), quelle braccia nude abbronzate,
gli indicatori sociali delle loro penne e delle sneakers…
E pensava, giustamente, che anche loro lo amassero.
“Quando ero all’asclepeion,” diceva,
“a Kos, uno studente come voi…” e poco dopo
tutta la classe, anticipando il resto, avrebbe cantilenato:
“a Kos, uno studente come noi”, e lui era arcicontento
dell’affetto dietro alla presa in giro. Chi di noi
non è, da vecchio, una parodia di sé stesso?
E chi non crede che l’ippo sia una creatura
benevola? La sua disegnatrice più brava, diec’anni fa,
aveva ritratto un ippopotamo a cavallo di una pila
di casse di banane (come quelle che trovi
abbandonate dietro al mercato a mezzogiorno),
che da allora era rimasto inchiodato sopra la porta.
“I pachidermi mangiano banane?” Cercava sempre
di estendere i limiti della conoscenza, lui.
La sua unica paura era, paradossalmente, di
esser stato fin troppo bravo, non per sé – la fama
in tempi incerti è una forma di passaporto –
ma per loro. Pendevano troppo dalle sue labbra,
si rifiutavano di metterlo in discussione, di contestarlo.
Immaginava il suo alunno migliore, decenni dopo, fare
la stessa identica lezione: “Quando ero all’asclepeion,
a Larissa, con Ippocrate, uno studente come
voi…”, e tutte quelle belle domande
ancora senza risposta: Dove risiede l’anima?
Gli ippopotami mangiano banane?
Il sangue è una marea?
*
Group Therapy
No-one in our therapy group can recall
the last time they slept through
from belated book-close to morning-call.
We confess to fridge raids at well-past-two
for milk-shake and biscuit,
a solo hour with the London Review . . .
Communal living, had we thought to risk it,
might have wildly entailed
a kitchen sodality, pot-roast brisket
in the small hours, foil to an ice-empailed
zinfandel . . . and tonight
cards are being thumbed, debating coats trailed,
the fallboard’s back on that Erard upright:
Sol’s arm-garters glow
like bracelets in the windowed moonlight.
When in our lives have we dared to show
such flushed exuberance,
such panache?! . . . Never before and not now.
This hall could host a Quaker observance,
though we brethren attach
scant weight to our brothers’ fraught evidence
as one by one we turn away to watch
– I, Hal, Sol too it seems –
a spider embroidering the service-hatch.
My unmoored mind drifts to its old themes:
the way, when you checked out,
you merely moved upstairs into my dreams . . .
*
Terapia di gruppo
Nessuno nel nostro gruppo di terapia ricorda
l’ultima volta che ha fatto un sonno ininterrotto
dall’abbandono di un libro la sera alla sveglia del mattino.
Tutti confessano incursioni al frigo ben oltre le due,
per un frullato e un biscotto,
un’ora in solitario con la London Review …
Una vita in comune, l’avessimo azzardata,
avrebbe comportato un sodalizio
frenetico in cucina, petto di manzo brasato
nelle ore piccole, contrastato da un bel Zinfandel
nella sua benna di ghiaccio, … e stasera
si rimescolano le carte, i dibattiti si accendono,
il coperchio è alzato sulla tastiera dell’Erard verticale:
i reggimaniche di Sol brillano
come braccialetti al chiaro di luna dalla finestra.
Quando nella vita abbiamo osato dimostrare
un’esuberanza tanto esaltata,
un tale brio?! . . . Mai prima e non ora.
Quest’aula potrebbe ospitare un’osservanza Quacchera,
benché noi confratelli diamo
scarso peso alle testimonianze sofferte dei compagni
visto che uno dopo l’altro ci distraiamo a osservare
– io, Hal, perfino Sol a quanto pare –
un ragno che ricama il passavivande.
La mia mente senza ormeggi vaga ai suoi temi consueti:
al modo in cui, quando tu te ne sei andata,
ti sei solo trasferita al piano di sopra, ai miei sogni …
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