Dalla prefazione di Franca Mancinelli: “La città bucata di Antonella Palermo è la mappatura di una geografia interiore costellata di faglie e distanze che aprono vuoti tanto più dolorosi quanto a essere in gioco è la possibilità di un legame con l’altro. Questo rapporto con un tu è cercato costantemente, oltre il senso di estraneità e di perdita che si ripresenta nelle vicende, con quella forza tenace e sempre intatta di chi è pronto a combattere inerme, «a ferri scoperti / con l’anima a vista». Il proprio bisogno di fondamento non arretra di fronte alle mancanze dell’altro, alle cavità profonde del terreno che gli è concesso”.
Hai saltato un passante nell’infilare la cinta.
Anche i polsi sono aperti.
Malamente stretti, poco fa,
bruciavamo le tappe.
*
Non sai nemmeno come è fatta, la mia spalla,
che curva prende.
Se si mette stretta e diventa nido
o si fa parete.
E le mani, non hai sentito che sono storte.
Ma la caviglia si gira a pensare
e fa girare il collo, acuto,
agli uomini infedeli.
Questo mio odore che dici buono
dove ti resta?
*
Facevi la conta, forse,
messo al muro da bambini fuggiti,
o scardinavi la porticina in ferro.
Forse era la vergogna,
figlio di rom,
oppure pisciavi contro la ruggine
decorazioni naïf
per una strada borghese.
A destra la scalinata parrocchiale
a sinistra il sottoscala del cinema d’essai.
L’inclinazione del tuo corpo era la rampa mancante
l’avambraccio il cuscino
che inventasti per la tua fronte alta.
*
Se accettassi questa ritmica in levare
mi affrancherei dalla dispensa piena
e brinderei con l’aria.
Se scartassi il macramè ai confetti
o la spugna della melagrana
potrei arrivare agli acini rubini.
Se accentassi il tempo debole
mi salverei.
*
Sono già pronto
piegato e pressato
bocciòlo senz’aria.
Puoi cogliere e premere
oltrepassare il velluto
aprirmi la veste.
Sono bianco
papavero raro.
Mi serve un tuo soffio
per non esserci più
e lasciare che estesa
e spudorata e grande
tu sia.
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