Quante voci poetiche nel Novecento sono giunte a un’altezza mistica, tragica e visionaria, a una forza lancinante e struggente paragonabile a quella di Fernanda Romagnoli? Ancora pochi, tuttavia, la conoscono davvero. Poeti come Carlo Betocchi, Vittorio Sereni e Attilio Bertolucci credettero in lei e si adoperarono per promuoverne l’opera, ma la sua grandezza non è stata ancora riconosciuta in modo adeguato. Vissuta per tutta la sua non lunghissima vita (1916-1986) in una specie di aspro esilio spirituale, in una terra dell’anima segnata da piaghe invisibili e atroci, la Romagnoli continua a essere lontana, remota, imprendibile dalla maggior parte dei lettori di poesia. La folle tentazione dell’eterno, la più ampia scelta dei suoi versi finora apparsa in Italia, vuole contrastare l’indifferenza che per troppo tempo ha avvolto questa creatrice di liriche potenti e perfette, vibranti di dolore e arse da un immenso pathos metafisico, percorse dai venti ingovernabili dello spirito e innervate da un’inesausta, tormentosa ricerca dell’assoluto.
Stigmata
Qui dunque fui bambina. Alla marina
crescevo accanto: l’anima digiuna
d’ogni perché – famelica altrettanto.
Gigli ad oriente, la riva era una spada.
Stupendo sacrilegio imporvi un segno
– l’arco del piede –, premere col viso
la freschezza deposta dalla luna.
Il mare straripava nel sereno
a livello dei cigli. Ah, la bellezza
che pativo, non mia, che mia stringevo
in quel primo singhiozzo di creatura
che s’arrende all’immenso – era già il pegno,
la stigmata che in me sfolgora e dura.
Il tredicesimo invitato
Grazie – ma qui che aspetto?
Io qui non mi trovo. Io fra voi
sto come il tredicesimo invitato,
per cui viene aggiunto un panchetto
e mangia nel piatto scompagnato.
E fra tutti che parlano – lui ascolta.
Fra tante risa – cerca di sorridere.
Inetto, benché arda,
a sostenere quel peso di splendori,
si sente grato se alcuno casualmente
lo guarda. Quando in cuore
si smarrisce atterrito «Sto per piangere!»
E all’improvviso capisce
che siede un’ombra al suo posto:
che – entrando – lui è rimasto chiuso fuori.
Ad ignoto
A te, che non sospetti ch’io esista –
A te, cui resterò sempre nascosta –
dalla mia ultima boa,
già immersa in freddi sorsi di campana,
aspettando il linciaggio
d’azzurri squali
a faccia in giù nell’onda –
invio di me quest’unico messaggio:
Con tutto il nulla t’amo
che intercorse tra noi – tutto l’immenso
che poteva intercorrere! Ma c’era
un universo in mezzo!
A te, sull’altra sponda
ignaro, approderà col fiato mozzo
questo tremante ramo
di me, scampato al viaggio.