Anne Stevenson, una delle poetesse anglo-americane più incisive e unanimamente riconosciute dal secondo novecento ad oggi, per la prima volta tradotta in Italia in un’antologia che ne presenta la qualità, l’altezza e lo spessore di tale voce. I componimenti, tradotti e curati da Carla Buranello, offrono al lettore il percorso fecondo e luminoso, fatto di incontri, viaggi, analisi del proprio cammino esistenziale, secondo una dialettica e una poetica che mira a restituire l’immagine di un poeta “artigiano che, usando gli strumenti fornitigli dalla tradizione, o forgiandone egli stesso di nuovi, sa plasmare la materia sonora e sa realizzare in concreto le cose che pensa”. Come sottolinea la curatrice dell’opera – e come scoprirà il lettore – la poesia per Anne Stevenson “è arte del ritmo”.
Come arrivano le poesie
Rigirale in bocca sottovoce
Poi lasciale vagare nella mente
Finché un significato prende forma.
Come l’amore, sono più forti se accolte alla cieca,
Giudicate all’istante, percepite con sensi acutizzati
Mentre ancora non è chiaro se siano necessarie.
L’emozione imprecisa – intensa
Quanto un’azione adrenalinica –
Si nutre di sé stessa, e a sua difesa
Si immagina un ruolo umanitario,
Ma le poesie, siano maschi o femmine, sono vanesie
E traggono le proprie soddisfazioni dall’interno,
Sfoggiano vocali, o esibiscono catene
Di elle ed emme d’argento per fare mostra
Di intimità o di biasimo, di gioia o di dolore.
Le vie delle parole sono strette ed egoiste,
Esige ognuna uno spazio adeguato al proprio peso.
Non serve scandire i versi ad ogni frase,
Ma una sorta di battito deve integrare
Il suono che la poesia fa quando è inventata.
Sennò, scrivi prosa. Oppure aspetta
Che arrivi e sia lei il proprio intento a dichiarare.
How Poems Arrive
You say them as your undertongue declares
Then let them knock about your upper mind
Until the shape of what they mean appears.
Like love, they’re strongest when admitted blind,
Judging by feel, feeling with sharpened sense
While yet their need to be is undefined.
Inaccurate emotion – as intense
As action sponsored by adrenaline –
Feeds on itself, and in its own defence
Fancies its role humanitarian,
But poems, butch or feminine, are vain
And draw their satisfactions from within,
Sporting with vowels, or showing off a chain
Of silver els and ms to host displays
Of intimacy or blame or joy or pain.
The ways of words are tight and selfish ways,
And each one wants a slot to suit its weight.
Lines needn’t scan like this with every phrase,
But something like a pulse must integrate
The noise a poem makes with its invention.
Otherwise, write prose. Or simply wait
Till it arrives and tells you its intention.
*
Fare poesia
‘Devi abitare la poesia
se vuoi fare poesia’.
E cosa significa ‘abitare’?
Significa portarla come un abito, indossare
le parole, sedendo nella luce più netta,
nella seta del mattino, nel fodero della notte;
un sentire spoglio e frondoso in un’aria che sorprende;
familiare…insolita.
E cosa significa ‘fare’?
Essere e diventare il clima mutevole
delle parole, il servo della musa a condizioni
atroci, intraprendere viaggi sopra voci,
evitare la collina dell’ego, il pozzo dell’afflizione,
la sirena che sussurra stampare, successo, stampare,
successo, successo, successo.
E perché abitare, fare, ereditare poesia?
Oh, è la commedia condivisa della peggiore
benedizione; il suono che guida la mano;
la parola vitale che scorre da una mente all’altra
attraverso le stanze lavate dei sensi;
una di quelle stregate, indifendibili, impoetiche
croci che pur dobbiamo portare.
Making Poetry
‘You have to inhabit poetry
if you want to make it.’
And what’s ‘to inhabit’?
To be in the habit of, to wear
words, sitting in the plainest light,
in the silk of morning, in the shoe of night;
a feeling bare and frondish in surprising air;
familiar…rare.
And what’s ‘to make’?
To be and to become words’ passing
weather; to serve a girl on terrible
terms, embark on voyages over voices,
evade the ego-hill, the misery-well,
the siren hiss of publish, success, publish,
success, success, success.
And why inhabit, make, inherit poetry?
Oh, it’s the shared comedy of the worst
blessed; the sound leading the hand;
a wordlife running from mind to mind
through the washed rooms of the simple senses;
one of those haunted, undefendable, unpoetic
crosses we have to find.
*
Quota 84
Nel giorno del mio compleanno
Dalla torre degli anni che chiamo vita
Guardo nel pozzo: non tempo ma spazio, non qui ma laggiù,
Non senso ma memoria, ovunque in nessun luogo –
La storia incerta, il nodo al fazzoletto,
Il dove-siete-morti-onnipresenti, i vostri nomi
In un istante mi riportano all’infanzia, a ritroso percorro
La lunga strada fino al Natale e i suoi doni.
Così il DNA modella la sostanza dei sogni,
E la vecchiaia non ha motivo d’essere.
Un sapore proustiano, un profumo, la musica di una frase
Sfidano la legge naturale cui si sottraggono.
La vita sarà mia fintantoché io sarò la mia mente
E la gioventù? Sofferenze, ansie e ferite
Meglio ricordate che rivissute.
At 84
On my birthday
I look from the tower of years I call my life
Into the pit: no time but space, no here but there,
No sense but memory, everywhere nowhere –
The doubtful story, the knotted handkerchief,
The where-are-you ever-present dead, whose names
Transport me instantly to childhood, tracking
The long way back to Christmas in a stocking.
So DNA designs the stuff of dreams,
And old is age that doesn’t need to be.
Some Proustian taste or scent or singing phrase
Defies the natural law it disobeys.
Life will be mine as long as my mind is me.
While youth? Its wounds, anxieties and pain
Are best remembered, not endured again.
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