Dalla postfazione di Sebastiano Triulzi: “Il titolo di questa seconda raccolta di poesie, Lo sbarco salato del risveglio, riprende il verso interno di un componimento, secondo una pratica messa in atto da Marco Pacioni già nel precedente lavoro pubblicato, Il bollettino dei mari alla radio; ma ad accomunare i due libri c’è in primo luogo il tema di fondo, che è il mare, inteso nello specifico come Mar Mediterraneo; e che l’autore rappresenta come spazio demotico, come topos, luogo simbolico e insieme storico e geografico in grado di essere specchio del nostro tempo, perfetto contraltare di quella modernità liquida della società che Zygmunt Bauman ha descritto così efficacemente. Da un lato, il poeta guarda al Mediterraneo come emblema di un’impossibile catarsi culturale del popolo italiano, che infatti respinge chi lo attraversa per chiedervi asilo e rifugio, o anche solo migliori condizioni di vita; dall’altro, indaga e rintraccia il momento regressivo in cui noi italiani abbiamo iniziato ad arroccarci e proteggerci, sviluppando modelli culturali reattivi nei confronti del mare, con il paradosso che questo bacino d’acqua è stato ed è oggi percepito come luogo da cui proviene il pericolo e del quale bisogna aver paura. Pacioni denuncia l’atteggiamento di chiusura verso persone, verso popolazioni che cercano di solcare, di riunire, di attraversare appunto questo spazio «fra le terre», che sarebbe poi anche il significato etimologico della parola Mediterraneo: una chiusura che data da tempo e non è solo italiana ma della cultura europea nel suo insieme, nella misura in cui l’Italia è, metaforicamente, il primo porto o il primo approdo dell’Europa. Pur essendo la nostra terra una penisola, ci ricorda il poeta, abbiamo elaborato nel tempo, anche dal punto di vista urbanistico, non solo culturale o sociale, un rapporto conflittuale col Mediterraneo, costruendo ad esempio fortezze sulla costa che servivano a difendersi dal mare o da quanti avrebbero potuto giungervi”.
sbanda gronda
ché non puoi tenere il nome al logo
dare corda allenta il nodo
e continui a scorrere il palmo
cercare il capo con le dita
finire per iniziare
poi la risacca moto d’Orfeo
ti fa scordare
e la parola è già al largo
prima di girarti da verso
una lingua è salpata
*
i turisti che vedi sugli scogli
sono acrobati del confine
dici a tua figlia
hanno sbagliato data
o forse provano
a prolungare l’andata
senza il rimorso del ritorno
immaginali in una partenza
che non si arresta
dove s’infrange l’onda
lo scialbo che va in aria
e non ricade goccia
*
acuminata la lingua tenta il palato
in cerca del tuo taglio
ne segue i lembi a memoria
sguardo ai fiocchi di neve che cadono
fresco fuoco il volto li riceve
labbra inquiete sotto la tua rugiada
volevi salire le scale
stretta a qualcuno
respirando intenso
per vivere due volte
invece hai saltato i piani
sei scivolata bruciando i corpi
sullo scorrimano
frollate le membra di parole mozzate
sulla pelle
permangono gli appunti di ritmo
nelle carni
*
dies irae
ma è una videosveglia
i Police in papillon
poi il notiziario
e chi a ripetere per sguaiarsi
il viaggio in una stiva
Giona nel ventre
disobbediente
chi approda accorda per scordare
anche i lamenti di chi è rimasto in plancia
ora la voce si rilancia
stira le parole al trasbordo
estati non più lunghe
ché ti vòlti
e la luce di luglio è già d’ottone
ansia del tempo che mangia le coste
inghiotte i corpi
se voi pensate che la scia
non stinga
continuate giù fino al sale
è d’ardesia il desiderio sale
graffia solca il mare
poi sopravanza
fuga musicale
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