La collana «Interno Classici» riporta in libreria una delle voci imprescindibili del Romanticismo inglese. “Mio cuore”, antologia che raccoglie – con poche eccezioni – tutte le odi e i sonetti di John Keats, restituisce al lettore, grazie alla traduzione e alla curatela di Luca Alvino, la ricchezza stilistica e metrica, la raffinata sensibilità di un poeta che ha attinto dalla tradizione millenaria umanistica e letteraria guardando al suo tempo, diventando fonte di ispirazione per quanti ancora oggi sono dediti all’indagine delle proprie emozioni, delle più remote profondità dell’animo umano, attenti ai palpiti e i movimenti del proprio cuore.
Alla Speranza
Quando al mio focolare, solitario,
mi siedo, e con i miei pensieri d’odio
avviluppo di buio il cuore mio;
quando i bei sogni all’occhio della mente
più non balenano, e la nuda landa
della vita non mostra più i suoi fiori;
dolce Speranza, il tuo soave balsamo
versa sopra di me, e poi sul mio capo
muovi su e giù d’argento le tue ali.
Se al calar della notte, io vagando,
dove i rami intrecciandosi tra loro
schermano fitti i raggi della luna,
uno Sconforto triste amareggiasse
le mie meditazioni, e, corrucciato,
mettesse in fuga, dolce, l’Allegria,
mostrati con i raggi della luna
tra le fronde del tetto, e scaccia via
lontano lo Sconforto maledetto.
Se Delusione, madre dell’Angoscia,
la figlia costringesse ad agguantare
il mio cuore sbadato; e, come nuvola,
si preparasse, assisa sopra l’aria,
a colpire la vittima ammaliata;
scacciala col tuo volto luminoso,
falla fuggire, o mia dolce Speranza,
come il mattino mette in fuga il buio!
Se il fato di coloro che ho più cari
raccontasse una storia di dolore
al mio cuore apprensivo, o mia Speranza
dagli occhi luminosi, la morbosa
mia fantasia rallegra; per un poco
donami i tuoi sollievi più soavi;
la luce tua risplenda intorno a me,
luce che vien dal cielo, e sul mio capo
muovi su e giù d’argento le tue ali.
Se un infelice amore addolorasse
il petto, o per crudeli genitori,
o per crudele amante; fammi credere
che non sia vano stare a sussurrare
i miei sonetti all’aria a mezzanotte!
Dolce Speranza, il tuo soave balsamo
versa sopra di me, e poi sul mio capo
muovi su e giù d’argento le tue ali.
Nello scorcio degli anni che verranno,
fa’ ch’io non veda del nostro paese
dissolversi l’onore; e veda invece
serbar l’anima sua la nostra terra,
ed il suo orgoglio, la sua libertà,
non solo l’ombra della libertà.
Riversa dai tuoi occhi luminosi
inusuale luce – alla mia testa
dai protezione sotto le tue ali.
E ch’io mai veda della patria il lascito
altissimo, la grande Libertà,
maestosa, ma vestita in modo povero!
Oppressa con la porpora indecente
di un tribunale, con la testa china,
che muore già; ma lasciati vedere
mentre dall’alto scendi sulle ali
ed empi il ciel d’argento scintillante.
E come quando, nella sua brillante
maestà, una stella d’oro va coprendo
la chiara cima d’una nube oscura;
ed in tal modo lei va rischiarando
del cielo il volto buio per metà;
tu, similmente, quando i miei pensieri
oscuri avvolgono il mio cuore presago,
dolce Speranza, il tuo celeste influsso
riversa intorno a me, e poi sul mio capo
muovi su e giù d’argento le tue ali.
*
To Hope
When by my solitary hearth I sit,
And hateful thoughts enwrap my soul in gloom;
When no fair dreams before my ‘mind’s eye’ flit,
And the bare heat of life presents no bloom;
Sweet Hope, ethereal balm upon me shed,
And wave thy silver pinions o’er my head.
Whene’er I wander, at the fall of night,
Where woven boughs shut out the moon’s bright ray,
Should sad Despondency my musings fright,
And frown, to drive fair Cheerfulness away,
Peep with the moon-beams through the leafy roof,
And keep that fiend Despondence far aloof.
Should Disappointment, parent of Despair,
Strive for her son to seize my careless heart;
When, like a cloud, he sits upon the air,
Preparing on his spell-bound prey to dart:
Chase him away, sweet Hope, with visage bright,
And fright him as the morning frightens night!
Whene’er the fate of those I hold most dear
Tells to my fearful breast a tale of sorrow,
O bright-eyed Hope, my morbid fancy cheer;
Let me awhile thy sweetest comforts borrow:
Thy heaven-born radiance around me shed,
And wave thy silver pinions o’er my head!
Should e’er unhappy love my bosom pain,
From cruel parents, or relentless fair;
O let me think it is not quite in vain
To sigh out sonnets to the midnight air!
Sweet Hope, ethereal balm upon me shed,
And wave thy silver pinions o’er my head!
In the long vista of the years to roll,
Let me not see our country’s honour fade:
O let me see our land retain her soul,
Her pride, her freedom; and not freedom’s shade.
From thy bright eyes unusual brightness shed –
Beneath thy pinions canopy my head!
Let me not see the patriot’s high bequest,
Great Liberty! how great in plain attire!
With the base purple of a court oppressed,
Bowing her head, and ready to expire:
But let me see thee stoop from heaven on wings
That fill the skies with silver glitterings!
And as, in sparkling majesty, a star
Gilds the bright summit of some gloomy cloud;
Brightening the half-veiled face of heaven afar:
So, when dark thoughts my boding spirit shroud,
Sweet Hope, celestial influence round me shed,
Waving thy silver pinions o’er my head.
*
A…
Avess’io una leggiadra forma d’uomo,
potrebbero echeggiare i miei sospiri
rapidamente dentro la conchiglia
eburnea del tuo orecchio, ed il tuo cuore
gentil toccare; ché per tale impresa
per bene m’armerebbe la passione;
però, ahimè, non sono un cavaliere
il cui nemico muoia, e sul mio petto
rigonfio non scintilla una corazza;
non un lieto pastore della valle
io sono, le cui labbra per degli occhi
di fanciulla han tremato. Ma bisogna
che per te io vaneggi, che ti chiami
dolce, molto più dolce delle rose
d’Ibla mielate, colme di rugiada,
sì generosa che stordisce. Quella
rugiada assaggerò, sarà per me,
e se la luna il pallido suo volto
disvelerà, un po’ ne coglierò
con sortilegi e con incantamenti.
*
To…
Had I a man’s fair form, then might my sighs
Be echoed swiftly through that ivory shell
Thine ear, and find thy gentle heart; so well
Would passion arm me for the enterprise:
But ah! I am no knight whose foeman dies;
No cuirass glistens on my bosom’s swell;
I am no happy shepherd of the dell
Whose lips have trembled with a maiden’s eyes.
Yet must I dote upon thee – call thee sweet,
Sweeter by far than Hybla’s honeyed roses
When steeped in dew rich to intoxication.
Ah! I will taste that dew, for me ’tis meet,
And when the moon her pallid face discloses,
I’ll gather some by spells, and incantation.