Il titolo programmatico di questa seconda raccolta di Federica Gallotta, mutuato dal linguaggio della grammatica, accompagna alla lettura di un libro composto da una moltitudine di visioni quotidiane, in cui la lirica è pregna di ironia, di sguardo lucido e mai del tutto quieto, aperto alle contraddizioni dell’esperienza. Sono i “modi indefiniti”, i modi verbali che non hanno, come scrive Gabriella Sica nella prefazione, «tempi né generi, e indicano più che una persona un movimento o un gesto, e lo stesso modo indefinito spersonalizza la persona, mette un po’ da parte l’io, lo scansa, lo scardina».
Come sarebbe la mia vita se non fosse questa
vita ma altre mie vite non vissute, o vissute
altrove. Come felice sarei, o infelice, se
non vivessi la mia vita ma qualche altra
vita che esiste e c’è, se non esiste
questa, la mia. Ma chi ha deciso
nell’antologia del possibile
che fosse proprio questa
e non un’altra, dove io
magari non ci sono
nemmeno.
*
A simmetrie inesatte
voto la mia pena.
Tendo all’alto ma stramazzo
sfinita a terra quando
ho conferma della mia ragione
dandoti colpe non a torto.
Triste è questa condizione
di Cassandra che non vorrebbe
più credere in sé stessa.
*
Alla fine di ogni gran discorso
filosofia analisi e sproloqui
ciò che vogliamo ruota attorno
a quei verbali modi indefiniti
che non imparammo mai bene a scuola:
amando essere amati!
Ci avessero avvisati, prima
li avremmo preferiti a quella rima cuore
amore che imbarazza ancora tutti, senza mai
soddisfare il proprio autore.
*
Come Campana facciamo, e l’Aleramo
quando un po’ tesi si scambiarono i pareri
e già fu tardi per tornare indietro.
Passami il termine, e poi non t’arrabbiare
se a sera torno a casa mia col seno
pieno di parole e un turbamento
nuovo di zecca, da tenere per l’inverno.