“Nasse” segna l’approdo di Annarita Rendina nel vivace panorama della poesia contemporanea. La sua scrittura, segnatamente partenopea, legata ai temi del mare, dell’amore e della perdita, verso dopo verso conquista il lettore, invitandolo a lasciarsi andare al ritmo sinuoso ed elegante delle composizioni. A testimoniare le vibrazioni di quest’opera prima c’è il conterraneo poeta Valerio Grutt, che nella sua accurata prefazione avvia una vera e propria esplorazione tra i fondali della poetica e dell’animo della poetessa: “tra alghe, pezzi di reti, di sughero, e altre cose trasportate dal mare, ci arrivano le parole di Annarita Rendina. Un canto d’amore e di separazione, una narrazione intima ed epica”.
Ho tirato su la nassa
a fatica
con le mani rosse
in mezzo a tanto azzurro.
È una massa
di scuri sargassi
ciò che è riemerso
al mio abbraccio.
Ho scavato
il tuo volto di madreperla
dal fondo.
È affiorato come un tesoro
da quel bozzolo di foglie.
*
Il mio baricentro mi ha sempre mentito,
sono inclinata.
La giusta angolazione
è sempre stata per me
una cosa molto personale.
Se procedo io sbando.
La deviazione,
naufragio quotidiano
e contemplato, mi fa osservare meglio
i margini e tutte le polveri,
i lastroni di basalto
con le loro fughe irregolari, che tanto
somigliano alle mie.
Il mio procedere
per quanto claudicante o incerto,
è studiato.
Ho il passo dell’ubriaco che ondeggia
e non progetta di arrivare
più in là del prossimo lampione.
Vi stupireste sapendo
quanti tipi di parietaria ho scoperto
e quanti fiori regalano le erbacce.
Quante timide minute creature
si scansano con garbo continuamente
dai nostri passi sicuri come scuri.
La pesantezza che si posa lieve
mi ha insegnato la delicatezza.
Guardando più in basso che in avanti
ho perso l’orizzonte,
scoperto altri punti di fuga.
Esistono decine di villaggi in un metro
e la geografia li ignora.
Mapparli nella carta della mente
richiede lentezza.
*
D’un tratto la vita si concentrò
tutta in un punto
più piccolo della macchiolina sulle lastre
e una gassa tripla si strinse
intorno alle nostre parole.
Non pareva vero
d’aver ricevuto questo avviso
di sfratto dalla vita.
Eppure ci ritrovammo,
soltanto allora
in questa truffa continua
in questo furto senza sosta
di tempo e sonno.
Il punto era il fulcro di una leva universale
le nostre mani come fune tesa tra due mondi,
eppure ci riuscì di orientarci
tra le pareti di labirinto degli ospedali,
tra i mutevoli letti di compagni di viaggio
sempre troppo nuovi.
Ti segnasti il petto con la croce
come ti avevo visto fare
solo prima di entrare in mare
e forse era lo stesso.
*
Colleziono interi pantoni del bianco del tuo volto,
grattacieli di scale che digradano nell’aria.
Ho seguito il saliscendi della vita sul tuo corpo
col groppo di chi cade, con le mani sugli occhi
e due dita aperte alle tue truffe.
Adesso che le sfumature dei tuoi viaggi
seguono ben altre verticali, non mi resta
che immaginarti, puntino nell’azzurro.
Le gambe, sole ormai nell’aria,
vanno ancora in bicicletta.
*
Ora che ti ripenso
a centinaia di ore di distanza
con due mari e tante terre
di mezzo a separare le nostre mani
qui dove anch’io sono lontana e in viaggio,
si ferma il dondolio tra presenza
e assenza che cullava l’infanzia.
Tengo, comunque,
il corvo pronto e tesata la scotta.
Dovessi mai ritrovarti,
mia dispersa nave sorella.
*
Je so’ crisciuta chiena ‘e frate
int’a ‘na casa mai fernuta
cchiù allucche c’ammore,
cchiù jastemme ca ciure
nun stevo mai sule.
Co’ bben annascuso
dint’ ‘e sacche
alluccavo cchiù fforte
pe’ nun sentì ‘o mare
pe’ nun sentì ammore
ma è arrivat’ ‘o stess
‘sta burriana dint’ ‘o core.
Sono cresciuta piena di fratelli / in una casa mai finita / più urla che amore, / più imprecazioni che fiori, / non ero mai sola. / Col bene nascosto / nelle tasche / urlavo più forte / per non sentire il mare / per non provare amore / ma è arrivata lo stesso / questa tempesta nel cuore.
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