Natasha Sardzoska, una delle principali voci macedoni e europee della poesia contemporanea, oggi tradotta in Italia con un libro dal sapore amaro e sensuale. Un crocevia di nervi e ossa attraversano il corpo di questa raccolta, che mette a fuoco e dona dignità al lato oscuro dell’umanità, con una grazia stilistica capace di abbracciare sapientemente la lirica. Dolore, abbandono, malattia sono gli elementi ricorrenti incaricati di mostrare come nelle ferite si celi il seme della speranza, di una nuova rinascita.
senzatetto
vivo in spazi estranei
tra stranieri sposto il mio corpo
stranieri che non incidono la mia esistenza
ma solo le mie ombre
sono un passaporto confiscato
nelle credenze degli alberghi
mi superano i segnali sperduti
nell’etere delle radio stazioni
da cabine telefoniche pubbliche chiamo
cerco la voce di mio padre
essa germoglia nell’eco della lontananza
ci separa solo il vetro traspirato di alito
mi chiamo con molti nomi
appartengo a molte nazioni
ma solo questo corpo mi appartiene
anche se da esso mi separo
per tornare in me stessa
da mio padre
nella mia casa che non esiste
[che non è mai esistita]
in un nome che non c’è
tranne quello che voi mi avete imposto:
scolpito dal nucleo
delle mia ossa frantumate
*
l’ardore del mezzogiorno
verrà il giorno
ma conterrà tutti gli altri
e tu mi chiederai
padre
se hai sbagliato qualcosa
ma il tuo mezzogiorno non sarà mai
per me un fallimento
mentre mangiamo sereni
sardine grigliate con cipolle
anche se vedo oramai
il vortice rosso
che si solleva
al di là
della tua
iride
*
asma
la pelle è ancora attaccata
al petto da dentro
respiriamo con le branchie
con occhi puntati verso le valli
al di là del filo spinato
ci sporgiamo le mani
e le briciole secche
ci sanguinano le gengive
vogliamo frantumarci
però di noi gridano
le cellule morte
che sognano
di nascere di nuovo:
la terra sotto di noi si è spezzata
ma non sapevamo per niente quale
né di chi era
perciò con una mannaia
con giustizia
ci siamo dimezzati
a metà
i corpi