Poesie d’amore e d’altri mari raccoglie le liriche che Carlo Michelstaedter scrisse negli ultimi mesi del suo breve viaggio nella vita, un viaggio che è stato allo stesso tempo millenario, scandito da uno sguardo inesorabile sull’uomo e sulla vita, da una voce che ha saputo rimodulare al suo interno l’eco di voci lontanissime, eppure tanto prossime da sovrapporsi e coincidere in un solo respiro. Un volume antologico che, grazie alla curatela di Luca Campana e ai contributi di Enrico Terrinoni e Andrea Bajani, fa emergere una parola che distende i propri meridiani per epoche, linguaggi, prospettive, cucendo le distanze fino a diventare il grembo del bene più prezioso, un amore purissimo, incondizionato, racchiuso nell’immagine del mare e custodito in questi versi che continuano a chiamarci in causa, a interrogarci sul significato del pensiero, della parola e dell’amore, sul valore dei valori e di ciò che chiamiamo civiltà: una parabola senza ritorno, un viaggio attraverso il deserto, alla ricerca di un approdo ultimo, la “donna-sirena” abitatrice del più arcano dei mari, il «mare senza sponde».
Amico – mi circonda il vasto mare
con mille luci – io guardo all’orizzonte
dove il cielo ed il mare
lor vita fondon infinitamente. –
Ma altrove la natura aneddotizza
la terra spiega le sue lunghe dita
ed il sole racconta a forti tratti
le coste cui il mare rode ai piedi
ed i verdi vigneti su coronano.
E giù: alle coste in seno accende il sole
bianchi paesi intorno ai campanili
e giù nel mare bianche vele erranti
alla ventura. –
A me d’accanto, sullo stesso scoglio
sta la fanciulla e vibra come un’alga,
siccome un’alga all’onda varia e infida
φιλοβαθεία. –
S’avviva al sole il bronzo dei capelli
ed i suoi occhi di colomba tremuli
guardano il mare e guardano la costa
illuminata. –
Ma sotto il velo dell’aria serena
sente il mistero eterno d’ogni cosa
costretta a divenire senza posa
nell’infinito.
Sente nel sol la voce dolorosa
dell’universo, – e l’abisso l’attira
l’agita con un brivido d’orrore
siccome l’onda suol l’alga marina
che le tenaci aggrappa
radici nell’abisso e ride al sole…
*
Dalla pace del mare lontano,
dalle verdi trasparenze dell’onde,
dalle lucenti grotte profonde,
dal silenzio senza richiami,
Itti e Senia dal regno del mare
sul suolo triste sotto il sole avaro
Itti e Senia si risvegliaro
dei mortali a vivere la morte.
Fra le grigie lagune palustri,
al vario trasmutar senza riposo,
al faticare sordo ansioso
per le umide vie ritorte,
alle mille voci d’affanno,
ai mille fantasmi di gioia,
alla sete, alla fame, allo spavento,
all’inconfessato tormento;
alla cura che pensa il domani,
che all’ieri aggrappa le mani,
che ognor paventa il presente più forte,
al vano terrore della morte,
fra i mortali ricurvi alla terra
Itti e Senia i principi del mare
sul suolo triste, sotto il sole avaro
Itti e Senia si risvegliaro…
*
Ti son vicino e tu mi sei lontana,
mi guardi e non mi vedi, o s’io ti parlo,
pur quando ascolti, non però m’intendi;
ti sono questo corpo e questi suoni,
ti sono un nome, ti son un dei tanti,
come un altro sarebbe
che per nome e per vista conoscessi.
Io non sono per te «io», la mia vita,
io, questa mia volontà più forte,
il mio sogno, il mio mondo, il mio destino.
Io non sono per te: questo mio amore
disperato e lontano e doloroso,
gli passi accanto e non lo senti amare…