Dalla prefazione di Alessandro Zaccuri: “La poesia di Gnerre è tendenzialmente, ma non esclusivamente, poesia in prima persona, così da poter dare voce a una più vasta comunità di affetti che solo sulla pagina riesce a trovare piena espressione. Ed è poesia femminile, di una femminilità vissuta con orgoglio e senza compiacimenti, «pane della vita» e «pane della rinascita», come felicemente sintetizza il primo verso di una delle non rare ballate nelle quali ci si imbatte nella lettura di questo libro coerente e compatto”.
Provvisori segni, versi di cicatrici consumate.
Già cresce un’altra nuvola sulla montagna
dove riposano le ombre dei lupi.
Vedi, l’Irpinia somiglia all’universo.
La misuro con le imposte delle case distanti,
che abbiamo abitato,
per esercitare un sopralluogo di pensieri.
Ecco, l’istante comprende ciò che siamo stati,
la resa degli anni che si riorganizza.
Se mi dici, se ti dico,
che questa gioia di guardarci è poca cosa
un’eco da lontano ricompone,
dentro e fuori dall’atmosfera,
la voce di un amore.
*
Il pavimento forma un verso.
E qui, dove invento una casa nella tua,
poggio le mani sui muri ancora caldi
dell’ultima estate.
Le poggio per misurare chi siamo.
Gli ulivi ci attendono nascosti.
Ora, ad esempio, anche loro stanno fissando
le formiche che trasportano un chicco di grano.
Il verso si completa con la luce che arriva
dalle persiane
tra i nomi delle formiche
che ci osservano.
Pescoluse Marina di Salve, Lecce
*
Non sono pronta a dirmi addio.
La gioia di quel poco che ho imparato
mi riporta al primo giorno.
Oltre ciò che sono.
L’allenamento che ripeto per trattenermi
l’ho imparato a fare da bambina.
Smetto di riconoscere il vento.
Muore un tulipano, la mia foto,
il libro che avevo sul comodino.
Il mare mi educa al silenzio.
Guardo l’azzurro che non c’è.
Gli alberi mutano in forma di ricordo,
anche loro non sono pronti a dirmi addio.