“Salutarsi dagli aerei”, l’opera prima di Alessandro Burbank, è un libro compatto e insieme caratterizzato da più registri linguistici e tematici. La poesia d’amore abbraccia la lirica, l’esperienza privata si scontra e si riflette con le contraddizioni della realtà contemporanea, le nevrosi e le ossessioni quotidiane, messe a nudo con uno stile unico e riconoscibile, che sa far divertire e commuovere: «non c’è niente di più bello / se si viene ricordati / all’interno di un contrasto».
Urlano nel vento che le piega
le canne e il canneto, separa
una casa da un parcheggio.
Nella casa due corpi nudi stesi
nel silenzio di una noia fresca
tra lenzuola estive. Vacanzieri
stanchi che ascoltano il riposo
di chi viene e cambia mondo.
Hanno occhi sulle dita, l’ombra
corta e un respiro che li sgonfia.
Fuori il cielo e il mare azzurri
non fanno differenza solo i muri
bianchi della stanza con gli infissi
blu ripetersi nel lungomare meste
ai venti etési, le porte tremano
socchiuse. Un vecchio bussa entra,
i corpi ancora stesi e porta fichi
appena colti che lascia appesi
come premi e scompare dove sa
sospingerti la furia di Meltemi.
*
Dietology
Una volta da ragazzo perché sovrappeso mi
mandarono dal dietologo. Il dietologo erano tre medici.
Uno era il dietologo gli altri una dottoressa
che mi pesava e mi contava le calorie,
l’altra che era tipo una psicologa
mi ha chiesto se desiderassi suicidarmi.
E io le ho detto che al massimo ho pensato
qualche volta di cadere. Cadevo dai palazzi
e dalle chiese mi vedevo perdere l’equilibro
e poi cadere. Cadevo dai terrazzi, dalle altane, capitava
che cadessi ma per caso guardando in basso, cadevo.
Dagli ospedali dai parenti, o per le scale antincendio,
in montagna una volta arrivato in cima cadevo,
dai traghetti per la Grecia, cadevo dagli scogli a pescare,
scivolavo dai ballatoi cadevo, d’inciampo
dai corrimani delle scale a chiocciola, se l’ascensore
si staccava, nel vuoto.
*
Dare nome
Ho preso i ravioli
ho messo i ravioli
ho spento i ravioli
ho detto ai ravioli
e adesso ravioli?
e loro lì, ravioli
mi sentite ravioli?
e loro lì, ravioli
guardo i ravioli
contemplo i ravioli
tossisco e i ravioli
sempre lì, ravioli
scusate ravioli
in silenzio ravioli?
ma che modi ravioli
di stare lì, ravioli
fermi lì, ravioli
mentre parlo ravioli
vi guardo ravioli
e mi accorgo ravioli
che siete agnolotti
ciao agnolotti
ciao caro
*
Le quattro
Le quattro e si apre la porta degli inferi
le quattro che scendo le scale faccio
corridoi scorsoi mi perdo mi faccio male
bevo sangue. Le quattro, alla gola come
cappi di cravatte, mi faccio in quattro
con una tagliola, apro ferite, la mia discesa
è un fuori pista di graffi, feritoie. Sono
le quattro di un kebab con tutto e del bicchiere
d’acqua in cui respiro, calmo sono un pesce
muto come un serpente allo specchio, mi
autotento adesso scendo, dall’albero della notte
da cui discendo. Le quattro precise
del mio spettro sordo, che vaga per il
mondo dentro un sogno, le quattro sveglio
a dire niente ma con violenza di silenzio sono
le quattro della mia voce che mi guarda e mi
sussurra a quattro labbra: fatti atomo e
oltrepassa la barriera che divide in quattro
pensieri e ragioni per restare, resto allora
per mia madre resto per l’amore o me ne vado
per gli stessi motivi, oppure cado scendo ancora
verso il mare, quinta opzione, dalle quinte fatte
quattro, cielo terra aria e L’ade che mi aspetta alle
quattro, come un ladro allora evado
dalle quattro prigioni, e scendo a dire al muro sto
crollando ma il muro è occhi e croci
di radici al cubo di rubriche per chiamarmi
da ogni distanza.
Ma una voce di madre con calma di culla
mi prende per mano e mi annulla.
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