La collana «Interno Novecento» riporta in libreria Raffaele Carrieri, una delle voci più originali e inquiete dello scorso secolo. Un poeta, come scrisse Leonardo Sinisgalli, che «si fa nutrire dal sonno, dai sogni, dalle allucinazioni, dalle immagini, dalle fole». Un’ampia selezione di testi, curata da Stefano Modeo, che segue un percorso cronologico delle opere pubblicate dal 1945 al 1980. Questa antologia permette non solo di far circolare testi diventati da molti anni irreperibili sul mercato – in quanto mai più ristampati – ma soprattutto consente al lettore, attraverso una ricca nota filologica, di accostarsi all’opera del poeta attraversando l’evoluzione della scrittura e dei principali snodi tematici. Una voce imprescindibile della poesia italiana del Novecento che ritorna a vivere grazie a un lavoro puntuale e necessario.
Attesa di niente
La luce non mi è stata compagna
sulla terra né l’acqua sorella.
L’affabile acqua piovana
che materna addormenta
il vecchio gabelliere
e la giovane rana.
Avrei voluto chiudere il cielo
come una semplice porta
per restare una giornata
acquattato nell’erba
in attesa di niente.
*
Dimesso l’affanno
Dimesso l’affanno;
quieto, distante, separato
e infine perdonato
da quelli che mi amarono.
Questo mucchietto di cenere
in mezzo alla foschia
sono io; e l’erba che sopra
vi cresce, ancora verde
la mia poesia.
*
Le strade
Quello che sono e sono stato
domandatelo alle strade
dei paesi della sete.
Tufi lucertole spine,
bell’uva sulle colline
dove fui ladro di galline.
Strade di cenere e pomice
lavorate dallo scorpione.
Dove ramingo io vissi
la cicala ancora muore.
Quello che sono e sono stato
domandatelo alle strade.
Una dice, scatenato!
E mostra le ferite
che fuggendo ho lasciato.
Dalle braccia di mia madre
dalle mani dell’amata
sempre fuggiasco sono stato.
Da me solo inseguito
braccato, colpito.
Re per un giorno
per cent’anni povero.
Soldato bracciante gabelliere:
su ogni nuova strada
nuovo mestiere.
Domandate ai sentieri della neve
alle doline alle cordigliere
quello che sono e sono stato.
Domandatelo alle strade.
Alla malora carte
cartigli e scartoffie
che potevano darmi gloria.
La vita ho consumato
su carta e inchiostro.
Mio Dio quanto ho limato
notte e giorno.
Mio Dio quanto ho penato.
*
Il verme il frutto
Io sono quello
che sbaglia tutto:
il verme il frutto.
Sbaglio l’amore,
sbaglio le ore
del batticuore.
Sbaglio a salire
sbaglio a discendere.
Sbaglio l’assenza
e la presenza.
Io sono quello
che sbaglia tutto:
sbaglio nel largo
e nello stretto.
Sbaglio a fuggire
sbaglio a stormire.
Sbaglio a morire
dove non sono.
Io sono quello
che sbaglia sempre:
sbaglio nel dare
e anche nel prendere.
Sbaglio a ferire,
sbaglio a guarire.
Sbaglio a star solo
e in compagnia.
Ahi vita mia,
sbaglio follia.